Come scoprire se un green claim è greenwashing

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Quando si parla di green claim, ovvero di tutte quelle forme di comunicazioni pubblicitarie, utili a far pensare al consumatore virtuoso che quel tale prodotto o servizio, abbia un minore o ridotto impatto ambientale, è sempre buona norma, soffermarsi e porsi qualche domanda, prima di dare fiducia a ciò che leggiamo.

Data l’estrema sensibilità dei consumatori, soprattuto negli ultimi anni, e ancor di più negli ultimi tempi, il tema ambientale, ha man mano acquisito sempre più peso, durante la scelta di cosa acquistare e così, questo genere di pratica, ha riscosso moltissimo successo (basti ricordare come sono cambiate le nostre tendenze di consumo nella spesa o di ricerca di una casa in cui vivere).

Abbiamo raccontato di aziende, che hanno fatto dell’innovazione applicata alla sostenibilità un vero must, come ad esempio AgroMateriae, 3Bee, Guppyfriend o Canù ma come sempre però, non ci sono solo esempi positivi e soprattutto nel mondo degli affari, non è tutto oro ciò che luccica, e di green claim scorretti e annesso greenwashing, ve n’è pieno il mondo.

In questo articolo, approfondiremo alcuni casi esemplari e scopriremo qualche trucco, per essere consumatori più consapevoli, di fronte ad un’etichetta che ci promette un Pianeta tutelato ed una sostenibilità verde brillante, a scapito del buonsenso ed in fondo, forse anche della realtà.

Green claim: che cos’è e a cosa serve

Un sempre crescente numero di aziende, sceglie di inserire i temi ambientali e di sostenibilità all’interno delle proprie campagne marketing e delle proprie etichette, non sempre però in modo lecito e trasparente.

Secondo la direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, le espressioni “dichiarazioni ambientali” o “dichiarazioni verdi” si riferiscono alla pratica di comunicazioni pubblicitarie, di marketing o commerciali, di suggerire che un tal prodotto o un tal servizio sia rispettoso dell’ambiente o addirittura che porti con sè un impatto positivo su di esso.

Tali benefici possono così derivare:

  • dalla sua composizione;
  • dal modo in cui viene prodotta;
  • dal modo in cui viene smaltita;
  • dalla riduzione del consumo d’energia;
  • dalla riduzione del consumo di sostanze inquinanti in seguito al suo utilizzo.

Se tali dichiarazioni sono false o non verificabili, si può parlare di “greenwashing” ovvero marketing ambientale fuorviante ovvero di green claim ingannevole ed illecito, di fatto quindi di inganno vero e proprio a scopo di lucro da parte dell’azienda che, per attrarre un sempre maggior numero di consumatori, spaccia come reale, ciò che reale non è.

Il caso ENI, Volkswagen Diesel-Gate e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato

Il caso forse più conosciuto e citato in ambito legale quando si parla di greenwashing, è certamente il caso ENI.

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, l’AGCM, con il provvedimento del 20 dicembre 2019, ha condannato Eni per pratiche commerciali ingannevoli, in riferimento ad una campagna marketing portata avanti per ben 3 anni, relativa al gasolio Eni-Diesel-più.

A partire dal 2016, infatti ENI, aveva promosso una campagna pubblicitaria relativa al suo speciale Diesel, il quale includendo nella formulazione il 15% di biodiesel derivato da olio di palma, veniva pertanto spacciato dall’azienda come un diesel più verde.

Il marketing di Eni coinvolgeva tre versanti: da un lato, il positivo impatto ambientale che il diesel, secondo l’azienda, aveva; dall’altro, l’abbattimento delle emissioni, e ancora, sul terzo lato, la riduzione dei consumi, che permetteva l’uso di tale diesel per il consumatore.

photo credits sbilanciamoci.info

L’Autorità Garante pertanto, dopo lungo approfondimento, ha punito la società Eni con la sanzione massima, 5 milioni di euro, per la campagna promozionale “Eni Diesel+”. Nel corso del procedimento, ENI, ha avviato l’interruzione della campagna e si è impegnata a non utilizzare più, con riferimento a tale tipologia di carburanti, la parola “green”

Secondo l’AGCM “...le vantate caratteristiche del prodotto, relative alla riduzione delle emissioni gassose “fino al 40%”, delle emissioni di CO2 del 5% in media, e dei consumi “fino al 4%”, non sono risultate confermate...”

Questo caso in particolare, ha permesso di portare alla luce del sole, il grande tema della comunicazione ambientale facendola così giungere sotto i riflettori della Commissione Europea, a seguito del quale, l’UE, ha provveduto a stilare delle linee guida per l’applicazione della direttiva 29/2005 sulle pratiche commerciali scorrette relative ai green claim.

Altro caso esemplare: VOLKSWAGHEN, anche conosciuto come DIESEL GATE del 2016, relativo alle sedicenti affermazioni della casa automobilistica tedesca: “La forza dell’innovazione…riduzione dei consumi e delle emissioni di CO2…

photo credits “Antonio Mancini – Convegno OLTRE IL GREENWASHING”

Le conclusioni dell’Istruttoria nazionale di Agcm nel 2016 furono:

  • sanzione massima di 5 milioni di euro per cercare di offrire una tutela ai consumatori;
  • effetti derivanti da profili di ambiguità, ingannevolezza ed omissioni presenti nei vari strumenti promozionali ed informativi utilizzati per la classificazione degli standard di conformità ambientale e sicurezza dei veicoli del gruppo venduti in Italia;
  • possibile strumento di supporto anche per apposite class actions delle Associazioni di consumatori (come per esempio quella di AltroConsumo che ha utilizzato a supporto probatorio qualificato tale provvedimento Agcm)

Come sempre quindi, fare i furbi non paga.

Il caso BIO-BOTTLE e l’impatto zero delle acque minerali SAN BENEDETTO

photo credits beverfood.com

Altro caso interessante da rammentare, il caso delle acque a impatto zero: acque in bottiglia che grazie alla loro BIO-Bottle, facevano sottintendere al consumatore che tali prodotti riuscissero davvero ad essere più sostenibili.

Nel corso delle istruttorie, è emerso che si era trattato di semplici “contributi finanziari” pagati per nuove piantagioni in Costa Rica, veicolando, quindi, ai consumatori messaggi ingannevoli di processi produttivi e compatibilità ambientale non documentata ed innovazioni mai concretamente realizzate.

La sentenza del Consiglio di Stato N. 1960 del 2017 “ACQUA SAN BENEDETTO” ha così obbligato l’azienda a produrre “prove attendibili, indipendenti, verificabili, basate su metodi e risultati scientifici più recenti”.

Infine, una precisazione ulteriore in fatto di norme atte da regolamentare i green claim: alla legge n. 287 del 1990 istituita dell’Autorità, si è aggiunta, nel 1992, la competenza in materia di pubblicità ingannevole e dal 2000 la competenza in materia di pubblicità comparativa. La nuova competenza, attribuita in materia di “pratiche commerciali scorrette” e di “pubblicità business to business” con la direttiva n. 29/2005/CE e l’art. 12 del Codice di Autodisciplina della comunicazione commerciale del 2014, “Tutela dell’ambiente naturale” ha completato il set normativo.

Il Bilancio di attività dell’Autorità nel settore dal 2008 nel nostro Paese, indica numeri importanti:

  • circa 600 provvedimenti di scorrettezza adottati;
  • circa 5.000 comunicazioni di archiviazione;
  • circa 60 procedimenti conclusi con accettazione di impegni;
  • circa 80 moral suasion.

Con l’ingresso della Commissione europea, il tema del green claim e del greenwashing ha necessariamente raggiunto un peso maggiore, tanto per la tutela del consumatore, quanto per la tutela di quelle aziende che invece di green claim ne sono portatrici sane.

Green claim e Commissione europea: dalla parte del Pianeta e dei consumatori

Secondo l’Avv. Antonio Mancini, Direttore della Direzione Generale Tutela Consumatori, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che ha guidato il Gruppo di Lavoro Qualità Ambientale Assolombarda e grande conoscitore del tema, per costruire un green claim di qualità è necessario innanzitutto “avere una visione più ampia rispetto al semplice “contenuto” che si intende attribuire alla promozione di un messaggio connesso agli impatti positivi sotto il profilo ambientale.” … e continua “…quando l’impresa definisce il messaggio da trasmettere, non può prescindere da diversi punti di vista: non conta cioè soltanto ciò che si vuole comunicare, ma anche ciò che si può comunicare. Questo è particolarmente rilevante in un ambito ambientale ed è importante anche“cosa” gli stakeholders si attendono di conoscere attraverso la comunicazione ambientale e quanto realmente percepiscono di ciò che viene loro trasmesso.”

6 consigli utili per scoprire green claim ingannevoli ed evitare il greenwashing

photo credits ec.europa.eu

Pertanto, i veri consigli che le aziende dovrebbe seguire, in fatto di comunicazione sostenibile e green claim, evitando effetti ingannevoli di greenwashing, sono gli stessi di quelli che ciascuno di noi, come consumatore, dovrebbe apprezzare dalle aziende che decide di supportare con i propri acquisti.

Ecco 6 utili consigli per scegliere responsabilmente e dire addio al greenwashing:

  1. apprezzare quelle aziende che limitano l’uso dei green claims a specifiche caratteristiche verificabili e comparabili da criteri oggettivi, scientifici, standardizzati e testati (soprattutto se convalidate da soggetti terzi indipendenti);
  2. apprezzare quelle aziende che evitano di impiegare espressioni generiche come “sostenibile” o “ecologico”;
  3. apprezzare quelle aziende che specificano se il claim riguarda il prodotto o il ciclo di vita per intero o solo una sua parte;
  4. apprezzare quelle aziende che evitano affermazioni che suggeriscono miglioramenti ambientali inesistenti rispetto a prodotti “omogenei”;
  5. apprezzare quelle aziende che evitano facili confusioni tra indicazioni obbligatorie per legge e quelle volontarie.
  6. apprezzare quelle aziende che scelgono metodologie di misurazione standardizzate a livello europeo (un esempio il PEF – l’impronta ambientale dei prodotti).

Di fatto, quindi, è tanto importante l’accuratezza delle informazioni che un green claim dà al consumatore, e quindi che un’azienda decide di veicolare, ma è forse più importante che l’azienda si attenga ad un linguaggio non speculativo, che permetta così a ciascun consumatore, di fare una scelta corretta e consapevole. Tutto questo, in ultima analisi, permette quasi di dire molto di più sull’azienda stessa, che sul prodotto che essa pubblicizza.

In fondo, ormai sappiamo quanto la consapevolezza sia davvero alla base di ciscuna scelta responsabile, tanto da consumatori quanto da cittadini.

Info

  • ftcc.it
  • assolombarda.it
  • regione.lombardia.it
  • europa.eu_green_claims
  • Dichiarazioni “verdi” fuorvianti – Estratto dagli orientamenti per l’attuazione/applicazione della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali

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Carmela Kia Giambrone

Giornalista, consulente alla sostenibilità e alla comunicazione digitale

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