E’ un venerdì qualunque di fine luglio ormai, ancora due settimane e potrò concedermi quindici giorni di relax in compagnia dei miei pensieri, del mio compagno e dei miei dolci mostri completamente immersi nella natura.
Davanti a me però ho ancora due settimane di lavoro e di quello intenso: la preparazione di un nuovo laboratorio per bambini ed adulti sui progetti di “guerrilla gardening” , l’inizio di una collaborazione davvero piacevole con il magazine BlossomZine della mia amica Dana, la collaborazione con VegHip, l’allestimento della mia bottega, la stesura del mio secondo libro e la voglia di concludere, almeno burocraticamente, uno dei progetti che ha impegnato molto della mia vita.
Tutto questo in queste ultime due settimane di luglio e…ho giusto un po’ di ansia: di non riuscire a fare tutto, di fallire in qualcosa di sbagliare qualche valutazione…mi dico che allora va tutto bene, mi sento così perché ci tengo e quindi va tutto bene.
Nel frattempo però, come é normale che sia, la vita procede con i suoi alti e bassi e quando ti ritrovi a leggere per caso sull’Internazionale, come il concetto di bene e male sia ampiamente descritto da una bambina di sei anni, non puoi non fermarti a riflettere mettendo da parte impegni e pensieri.
Ormai dò per scontata la mia scelta etica di non mangiare esseri senzienti né loro fluidi corporei ma ancora mi chiedo come gli altri, le persone che mi circondano, riescano a conciliare le loro scelte con la realtà: molto tempo fa provavo una rabbia immensa per questo ora invece provo una profonda tristezza.
Cosa può spingere le persone ad ignorare quello che mangiano e come il loro cibo viene preparato se il cibo stesso é la prima fonte di vita?
lo sappiamo tutti: l’industria ha regalato il potere al marketing e l’apparenza ora vale 10 mentre il succo della questione vale 1.
Ma poi gli stessi noncuranti sono capaci di grandissime disquisizioni sull’inutilità, presunta da loro almeno, della scelta biologica.
Ed allora mi chiedo: perché tanta diversità? perché tanta concentrazione per qualcosa che al massimo risulta essere inutile ma non certo nociva mentre indifferenza per qualcosa che é non solo nociva ma anche sempre crudele?
Mi sono data la stessa risposta che mi ero data in precedenza: il marketing.
E’ strano che l’unico comparto non intaccato dalla crisi economica sia il biologico: certo si può pensare che é perché interessa maggiormente persone abbienti che non hanno risentito della contrazione dei consumi ma sarebbe una riflessione superficiale perché basta andare a scavare un pochino e si scopre che i maggiori fruitori del mercato biologico sono famiglie e giovani non certo appartenenti alla classe agiata del nostro paese e dulcis in fundo non sono certo catene che fatturano di più: chi sceglie biologico va alla fonte ed allora via ai mercati della terra, ai produttori locali, ai gas e l’economia a contatto con il consumatore é servita.
Ora quindi si fa presto a comprendere il perché di quest’accanimento.
Se il consumatore circumnaviga la grande distribuzione o le catene, il marketing a chi può servire? certo il piccolo contadino che coltiva bio non andrà da colossi pubblicitari per pubblicizzare i suoi prodotti ed allora ecco la falla: la scelta di non passare tramite intermediari riduce il potere che hanno le immagini su di noi perché le scelte di chi usa la testa saranno dettate
- dalle stagioni
- dalla disponibilità locale
in definitiva quindi solo dalla natura.
Questo semplice concetto permette di rivedere l’intero modo di gestire l’alimentazione con enormi ricadute sulla salute e sul portafoglio demandando ad altri la necessità di seguire consigli dettati dai quattrini e dalle immagini.
Insomma vera rivoluzione che parte dalla terra per arrivare al piatto passando dalla busta della spesa.
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